Mi sono sempre posto un quesito: qual è l’etica, in altre parole il giusto comportamento, nel mestiere di architetto?
Insegno architettura ormai da venticinque anni e uno dei miei principali obiettivi non è tanto quello di insegnare a comporre correttamente (che è cosa scontata) ma di trasmettere ai miei allievi la passione per l’architettura, che è a fondamento del mestiere di architetto. Cerco di trasmettere il concetto che la ricerca della perfezione del progetto e di conseguenza dell’architettura, anche con la presa di coscienza degli inevitabili errori, è cosa buona e giusta. Corrisponde al concetto dell’architettura in sé stessa, all’idea di una disciplina capace di ristabilire, nella sua autonomia, il senso delle cose: si potrebbe definire come etica dell’architettura.
Nel corso degli anni mi sono tuttavia accorto che questa è solamente una parte del mestiere, del tutto inadeguata a rispondere alla necessaria dimensione sociale dell’architetto: per di più, questa difesa dell’autonomia è causa dell’isolamento relazionale che lo stesso architetto sta conoscendo oggi. Come architetti si può fare molto di più della ricerca appassionata intorno al corpo dell’architettura per costruire edifici, piazze, spazi e luoghi: si può cambiare il modo di vedere le cose e migliorare il pianeta su cui viviamo. La ricerca intorno al corpo dell’architettura non è, pertanto, scindibile dalle relazioni tra le persone, dall’equilibrata gestione degli spazi di vita comuni, dal rispetto e valorizzazione delle risorse disponibili. Corrisponde a una visione dell’architettura per la comunità che si potrebbe definire come etica della responsabilità: è come affermare che non esiste architettura se non congiungendo diversi saperi ma anche diverse etiche. (cfr. Emery N., (2007), Progettare, Costruire, Curare, Edizione Casagrande, Bellinzona (CH).
E’ un atto di cura verso gli altri. In fin dei conti gli architetti non sono tanto diversi dai medici: i medici si curano della salute delle persone, gli architetti della qualità degli spazi dove vivono le persone. Un aforisma attribuito a Frank Lloyd Wright dice che “Un medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può solo consigliare di piantare dei rampicanti. Questo parallelismo è quello che ha fatto scattare il pensiero che se i medici, all’inizio della loro professione giurano su Ippocrate perché gli architetti non dovrebbero assumersi responsabilità giurando, per esempio, su Vitruvio?
Il Giuramento di Vitruvio, nato da un’idea di Salvatore Settis e scritto nel 2017 dalla collaborazione tra l’Ordine Architetti PPC di Reggio Emilia, il Centro Studi Vitruviani e il Dipartimento di Architettura di Ferrara, è un atto nuovo e rivoluzionario. Il testo riprende i punti fondamentali del trattato De Architectura di Marco Vitruvio Pollione che sono stati riassunti in cinque parole: conoscenza, etica, bene comune, qualità dell’architettura e responsabilità. Tutti i nuovi iscritti all’Ordine di Reggio Emilia prestano il Giuramento di Vitruvio. Attraverso il Giuramento l’architetto, consapevole dell’impegno assunto, stringe un vero e proprio patto etico con la società e l’ambiente – oltre che con il committente – giurando di tener conto di tutti i fattori che costituiscono il contesto storico, naturale ed ambientale in cui opera. Il Giuramento di Vitruvio, al pari del Giuramento di Ippocrate per i medici, rappresenta la volontà di affermare l’importanza del progetto di architettura per la rigenerazione urbana ed ambientale e di una professione, come quella dell’architetto, per riappropriarsi del proprio ruolo nella società contemporanea.
Un Ordine professionale non può sostituirsi alla capacità dei singoli di sviluppare la conoscenza, l’etica, la responsabilità, il rispetto per il bene comune, l’amore per il progetto: il suo compito principale è di regolare l’attuazione del mestiere di architetto. Ma può (e dovrebbe) certamente assumere il ruolo di facilitatore dello sviluppo della conoscenza dei suoi iscritti e creare le condizioni per fare in modo che certi principi alla base del mestiere diventino parte integrante della cultura di una comunità.
Questo è l’obiettivo principale del Giuramento di Vitruvio.
Insegno architettura ormai da venticinque anni e uno dei miei principali obiettivi non è tanto quello di insegnare a comporre correttamente (che è cosa scontata) ma di trasmettere ai miei allievi la passione per l’architettura, che è a fondamento del mestiere di architetto. Cerco di trasmettere il concetto che la ricerca della perfezione del progetto e di conseguenza dell’architettura, anche con la presa di coscienza degli inevitabili errori, è cosa buona e giusta. Corrisponde al concetto dell’architettura in sé stessa, all’idea di una disciplina capace di ristabilire, nella sua autonomia, il senso delle cose: si potrebbe definire come etica dell’architettura.
Nel corso degli anni mi sono tuttavia accorto che questa è solamente una parte del mestiere, del tutto inadeguata a rispondere alla necessaria dimensione sociale dell’architetto: per di più, questa difesa dell’autonomia è causa dell’isolamento relazionale che lo stesso architetto sta conoscendo oggi. Come architetti si può fare molto di più della ricerca appassionata intorno al corpo dell’architettura per costruire edifici, piazze, spazi e luoghi: si può cambiare il modo di vedere le cose e migliorare il pianeta su cui viviamo. La ricerca intorno al corpo dell’architettura non è, pertanto, scindibile dalle relazioni tra le persone, dall’equilibrata gestione degli spazi di vita comuni, dal rispetto e valorizzazione delle risorse disponibili. Corrisponde a una visione dell’architettura per la comunità che si potrebbe definire come etica della responsabilità: è come affermare che non esiste architettura se non congiungendo diversi saperi ma anche diverse etiche. (cfr. Emery N., (2007), Progettare, Costruire, Curare, Edizione Casagrande, Bellinzona (CH).
E’ un atto di cura verso gli altri. In fin dei conti gli architetti non sono tanto diversi dai medici: i medici si curano della salute delle persone, gli architetti della qualità degli spazi dove vivono le persone. Un aforisma attribuito a Frank Lloyd Wright dice che “Un medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può solo consigliare di piantare dei rampicanti. Questo parallelismo è quello che ha fatto scattare il pensiero che se i medici, all’inizio della loro professione giurano su Ippocrate perché gli architetti non dovrebbero assumersi responsabilità giurando, per esempio, su Vitruvio?
Il Giuramento di Vitruvio, nato da un’idea di Salvatore Settis e scritto nel 2017 dalla collaborazione tra l’Ordine Architetti PPC di Reggio Emilia, il Centro Studi Vitruviani e il Dipartimento di Architettura di Ferrara, è un atto nuovo e rivoluzionario. Il testo riprende i punti fondamentali del trattato De Architectura di Marco Vitruvio Pollione che sono stati riassunti in cinque parole: conoscenza, etica, bene comune, qualità dell’architettura e responsabilità. Tutti i nuovi iscritti all’Ordine di Reggio Emilia prestano il Giuramento di Vitruvio. Attraverso il Giuramento l’architetto, consapevole dell’impegno assunto, stringe un vero e proprio patto etico con la società e l’ambiente – oltre che con il committente – giurando di tener conto di tutti i fattori che costituiscono il contesto storico, naturale ed ambientale in cui opera. Il Giuramento di Vitruvio, al pari del Giuramento di Ippocrate per i medici, rappresenta la volontà di affermare l’importanza del progetto di architettura per la rigenerazione urbana ed ambientale e di una professione, come quella dell’architetto, per riappropriarsi del proprio ruolo nella società contemporanea.
Un Ordine professionale non può sostituirsi alla capacità dei singoli di sviluppare la conoscenza, l’etica, la responsabilità, il rispetto per il bene comune, l’amore per il progetto: il suo compito principale è di regolare l’attuazione del mestiere di architetto. Ma può (e dovrebbe) certamente assumere il ruolo di facilitatore dello sviluppo della conoscenza dei suoi iscritti e creare le condizioni per fare in modo che certi principi alla base del mestiere diventino parte integrante della cultura di una comunità.
Questo è l’obiettivo principale del Giuramento di Vitruvio.